L’ABORTO E LE SUE CAUSE (SCONOSCIUTE)

Da “Il Foglio” di venerdì 14 marzo 2008____________________

L’ABORTO E LE SUE CAUSE (SCONOSCIUTE)

A Modena un medico ha fatto la domanda che non trovate in nessuna statistica: perché? Ecco i dati.

Quali sono le reali motivazioni che spingono una donna ad abortire? A questa domanda non rispondono le statistiche disponibili presso il Ministero della Salute. A questa domanda ha provato a rispondere lo studio condotto dal dott. Matteo Crotti, ginecologo di Modena. Con un questionario distribuito alle donne ricoverate per eseguire l’interruzione di gravidanza presso il Policlinico di Modena nel periodo compreso tra giugno 2004 e luglio 2006, Crotti ha raccolto ed elaborato dati che nessuna ricerca sull’argomento aveva preso in considerazione. I risultati che emergono mostrano in molti casi la presenza di motivazioni non legate allo stato di salute, palesano come l’IVG sia spesso utilizzata come strumento di “pianificazione familiare”e in diverse situazioni ripetuto diverse volte. Oltre due anni di lavoro,un campione di 985 donne, di cui 870 hanno compilato il questionario. Partendo dal fatto che non esistono studi recenti in letteratura in grado di delineare in modo preciso il reale percorso che compie la donna che decide di interrompere la gravidanza” e “ che mancano dati relativi alla corretta applicazione di tutti gli articoli della legge” Crotti ha deciso di intraprendere questo studio “con l’intenzione di fornire dati statisticamente accettabili che possano fare un po’ di chiarezza su questo fenomeno tanto drammatico quanto sconosciuto”. “Convinti che i tempi degli acerrimi scontri sull’interruzione di gravidanza – si legge nell’introduzione – siano sufficientemente lontani per poter intavolare un confronto equilibrato e sereno su tale tematica, confidiamo che il nostro studio possa aggiungere informazioni utili per una sempre migliore tutela della maternità”.

Quella di Matteo Crotti è una ricerca quasi unica nel suo genere: il Ministero della Salute non ha mai condotto studi simili né è in possesso di statistiche come quelle citate nella ricerca modenese, utili invece per capire più a fondo le reali motivazioni che spingono le donne ad abortire, soprattutto in relazione a quanto la legge 194/78 vieta e permette: il ministero infatti pubblica annualmente soltanto i dati delle schede Istat che vengono compilate quando si effettua una Ivg e che riguardano nazionalità, età,numero di aborti effettuati in precedenza e il grado di scolarità della paziente. Non esistono dati che riguardano le motivazioni per cui si sceglie di abortire.

L’abbrivio dello studio è stato dato dall’analisi dell’andamento dei casi di aborto dall’approvazione della legge 194, avvenuta trent’anni fa, ad oggi: a livello nazionale si desume dalle statistiche, “si è registrato un incremento delle interruzioni raggiungendo l’apice del fenomeno nel 1982 con un numero complessivo di Ivg di 234.801. Da quell’anno si è registrata, poi, una continua flessione del fenomeno”. Nel 2001 ci sono state 132.234 aborti e da allora il numero non è più variato in modo significativo. Merita attenzione il numero di interruzioni volontarie di gravidanza effettuate da donne non comunitarie (in questo caso si sono considerati solo i numeri della Regione Emilia Romagna): nel giro di dieci anni esse sono infatti passate da una percentuale dell’8,1 per cento del totale al 33,5 per cento nel 2003. Nel Policlinico di Modena, clinica ospedaliera in cui lo studio Crotti è avvenuto, si è registrato un incremento delle pazienti extracomunitarie fino al 54 per cento. Da queste premesse è partita la ricerca.

Un metodo di pianificazione familiare

Il questionario consegnato alle pazienti – “nel rispetto della privacy, della libertà di scelta e con l’astensione da qualsiasi giudizio etico”- era costituito da venticinque domande a scelta multipla sottoposto da parte di tre allieva ostetriche a ciascuna donna ricoverata. La ricerca si è soffermata su differenze e analogie tra donne italiane ed extracomunitarie. Il primo gruppo delle domande poste riguardavano: l’età; il numero di gravidanze precedenti; il numero di figli viventi; il livello di istruzione; la professione ed il tipo di contratto lavorativo della paziente; la buona o cattiva condizione abitativa; se la donna avesse o meno una relazione stabile con un partner; se fosse convivente, coniugata o fidanzata; se fosse a conoscenza dell’esistenza dei consultori e se ci fosse mai andata; se nell’ultimo anno si fosse sottoposta ad una visita ginecologica privata o presso un consultorio; se chi aveva compilato il loro certificato per abortire fosse stato un medico privato, di fiducia o un consultorio; se la donna fosse alla prima Ivg; se negli ultime sei mesi avesse fatto uso di contraccettivi e in caso di risposta affermativa di quali; se la gravidanza fosse una conseguenza del fallimento di tali contraccettivi; se avesse mai assunto la pillola del giorno dopo; se fosse a conoscenza di come funziona un intervento di Ivg e da chi l’avesse saputo; se conoscesse il grado di sviluppo dell’embrione al momento dell’aborto e avesse visto immagini ecografiche; se la sua scelta fosse libera o obbligata.

Da questo primo blocco di domande è emerso innanzitutto come meno della metà delle extracomunitarie avesse eseguito il controllo annuale dal ginecologo a fronte del 72 per cento delle italiane. Un dato molto rilevante è nel numero delle italiane alla prima interruzione di gravidanza.: l’80 per cento contro il quasi 50 delle non comunitarie. Significativa la relazione, per le donne italiane, tra “la tendenza a reiterare l’interruzione di gravidanza, la scarsa condizione abitativa e la precaria condizione lavorativa”. La conclusione è che “la propensione a fare più aborti sia dovuta a un fattore socio-economico” dice Crotti. “Recidive” si sono rivelate le pazienti con relazione non stabile o con più figli. “Di fronte a pazienti con queste caratteristiche – conclude in questa parte lo studio – bisognerebbe quindi porre particolare attenzione da parte dei ginecologi nell’opera di prevenzione dell’Ivg.” Il fatto che l’aborto sia utilizzato come “metodo di pianificazione familiare” è maggiormente presente nelle donne non comunitarie, così come queste ultime tendenzialmente ricevono informazione più sommarie sul tipo di intervento cui scogliono sottoporsi: il 20 per cento addirittura ha abortito senza avere nessuna informazione.

I motivi economici

La seconda parte del questionario verteva sulle motivazioni che hanno spinto le donne alla scelta di interrompere la gravidanza. Crotti ha notare come “sono emerse alcune contraddizioni tra le risposte riportate relative alle motivazione ed altre risposte a domande inerenti temi simili”. Leggendo nel dettaglio si scopre così che il 61 per cento delle italiane e il 74 per cento delle extracomunitarie avevano la percezione che la gravidanza peggiorasse il loro stato di salute. Singolare che però alla domanda: “Queste problematiche potevano causarle un serio pericolo per la salute fisica e psichica?” abbiano risposto “Sì” solo il 39,1 per cento delle italiane ed 32,6 per cento delle straniere. Stando alla fredda lettura dei dati, “si potrebbe affermare che in oltre i due terzi dei casi l’interruzione è stata effettuata contravvenendo i termini di legge” che parlano di “serio pericolo per la sua salute fisica o psichica”. Continuando a scorrere i numeri salta agli occhi che il 63 per cento delle donne italiane affermava che “la scelta di abortire era in qualche modo legata alla preoccupazione di non poter sostenere economicamente la nascita di un figlio”. “Il fatto che oltre la metà delle utenti adduca la motivazione economica come uno dei motivi che li spinge ad abortire – scrive il medico autore dello studio – risulta un dato estremamente allarmante”. Il dato, sottolinea la ricerca, è la spia di un sistema sanitario “incapace di accogliere e far fronte a situazioni dove, a seguito di motivi economici, si impedisce ad una mamma di potere proseguire la propria gravidanza contravvenendo a ciò che prevede la legge 194 all’art. 5”.

Un altro dato interessante

è quello che riguarda il numero di aborti effettuati per la preoccupazione che il feto possa essere portatore di anomalieoltre il 30 per cento delle donne ha infatti dato questa risposta. Ancora più impressionante è la percentuale di chi ricorre all’Ivg per “difficoltà con il partner”: 55,3 per cento delle pazienti. Per quanto riguarda la discussione della propria scelta con il medico (sempre secondo i dettami della legge 194), solo il 67 per cento delle italiane (contro il 76 delle straniere) dichiara di averla effettivamente avuta e poco più della metà afferma di avere ”ricevuto proposte di percorsi alternativi”. Contraddice i termini della legge anche un’altra risposta data in maggioranza dalle pazienti dell’ospedale di Modena, in cui è stato effettuato lo studio: il 60 per cento delle italiane e il 62,8 delle migranti infatti ha affermato di desiderare un figlio in futuro: percentuali che salgono significativamente quando la domanda è se la decisione di abortire sia stata presa proprio perché si vuole un figlio più avanti arrivando oltre il 70 per cento. “In quest’ottica – osserva Crotti – l’Ivg diventa metodica per procrastinare la gravidanza e pianificarla in momento futuro apparentemente più idoneo. Ciò è però ben diverso da quanto prevede la legge 194/78”.

A sostegno di quanto appena affermato ci sono poi le risposte alla altre domande: la maggior parte delle donne infatti “non si sentiva sola a decidere”; quando ha chiesto assistenza è stata aiutata (93,6 per cento): sapeva della possibilità di poter partorire e far adottare o dare in affidamento il figlio (l’80 e il 71,6 per cento); nella stragrande maggioranza dei casi aveva “coinvolto il partner nella decisione” (oltre l’80%); nell’81,1 per cento dei casi (percentuale che scende al 59,5 per le pazienti non comunitarie) erano a conoscenza dei “diritti di lavoratrici e di madri”; nella totalità dei casi di minorenni, poi, i genitori erano a conoscenza della gravidanza della figlia.

Più dedizione per applicare la legge

Le conclusioni di questo lungo e approfondito studio, scrive Matteo Crotti, obbligano gli operatori del settore a porsi “alcuni interrogativi”. Un’alta percentuale di donne che interrompono la gravidanza è stata dal ginecologo pochi mesi prima. Di queste tutte hanno lo stesso tasso di utilizzo di metodi contraccettivi, il medesimo tasso di fallimento degli stessi e l’identica tendenza a ripetere l’aborto delle donne che non usano recarsi dal ginecologo periodicamente. “Da questa osservazione – conclude il documento – si potrebbe desumere che durante i controlli ginecologici si pone ancora troppa poca attenzione al tema della pianificazione familiare, e quindi alla contraccezione”. “Il fenomeno Ivg – prosegue il testo – è un fenomeno poco studiato, in evoluzione, estremamente drammatico per il singolo e per una società che continua ad avere uno dei tassi di natalità più bassi a livello mondiale”. Urgono campagne di prevenzione primaria e l’implementazione di presidi a sostegno della maternità. È infine dunque necessario da parte degli operatori del settore, sostiene Matteo Crotti nel suo studio, che vi sia “più dedizione ed attenzione di fronte alla paziente che ci chiede di abortire al fine di applicare alla lettera la legge sulla tutela sociale della maternità e sulle interruzioni volontarie della gravidanza”.

(a cura di Piero Vietti)

Il 60 per cento delle italiane e il 62,8 per cento delle migranti ha detto

di abortire perché voleva un figlio “in futuro”

Il 55,3 per cento abortisce per “difficoltà con il partner”, il 63 perché

non sa come sostenere il figlio, il 30 perché teme anomalie nel feto.

MATTEO CROTTI ha trentatré anni, è un medico ginecologo che opera a Carpi, in provincia di Modena. Sposato, con quattro figli, si è specializzato con una tesi sull’interruzione volontaria della gravidanza, frutto di una ricerca “sul campo”, unica del genere in Italia, durate tre anni presso il Policlinico di Modena.

 

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3 commenti su “L’ABORTO E LE SUE CAUSE (SCONOSCIUTE)”

  1. Io non voglio abortire. Parto da questo pensiero. Una volta ho confidato, in passato, al mio compagno la mia scelta di continuare una gravidanza inaspettata in qualsiasi caso, anche senza l’aiuto (quindi la presenza) del padre.

    Lui si è rabbuiato e ha detto che era sbagliato, che un bambino ha bisogno del padre per crescere, quindi avrei dovuto tenere in conto la sua indisponibilità. Ergo abortire.

    Un mio amico si è arrabbiato quando la sua ragazza abortì senza parlargliene e chiedergli un parere. Quindi, immagino, lui avrebbe tentato di farglielo tenere.

    In pratica altri dalla madre dovrebbero decidere se ella debba o meno dare la vita. Allora perché, come mai biologicamente ricade tutto sulla donna? Perché una donna può partorire da sola (mia madre l’ha fatto), il bambino la riconosce subito e striscia verso il suo seno istintivamente, perché durante la gravidanza il feto assume le caratteristiche genetiche non solo dell’ovulo e dello spermatozoo che lo hanno creato ma il suo genoma si svilupperà anche in base alla donna che lo ospita: con la dieta, le sue abitudini, ecc.?

    Seguiamo la natura e l’istinto femminile, per favore, lasciate fare a noi: sono certa che con il massimo della libertà (che passa attraverso il rispetto maschile e l’aiuto economico statale) gli aborti sarebbero sempre meno.

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